Mancano pochi giorni a Natale e le persone in tutto il mondo sono impegnate nei preparativi. Le vie delle città sono illuminate, l’albero è decorato, i regali sono pronti per essere scartati.
Difficile non sentire lo spirito natalizio che inonda le nostre case e le nostre città! L’odore delle feste si fa sempre più acceso!
Per i più piccoli che amano gli addobbi e aspettano con trepidazione i regali di Babbo Natale, ma anche per gli adulti che in questa atmosfera di luci e di colori tornano un po’ bambini e riscoprono il calore umano e il piacere di stare insieme.
Il Natale non è solo una festa in cui ci si scambiano i regali, ma è un periodo ricco di tradizioni e di cultura!
L’etimologia del termine Natale è da ricondursi all’aggettivo latino natalis, col significato di natalizio, nel senso di “qualcosa che riguarda la nascita“.
La festa del Natale entrò nel calendario cristiano molto tardi, nel 354 d.C., con l’imperatore Costantino. Nei primi secoli, infatti, i cristiani non avevano altra festa che la Pasqua, che veniva chiamata “Giorno del Sole” perché ricordava la resurrezione di Cristo.
Il 25 dicembre era il giorno in cui a Roma veniva celebrata la festa del solstizio d’inverno e dell’approssimarsi della primavera. Era una festa caratterizzata da un’incontenibile gioia perché il sole ricominciava a splendere. I cristiani presero questa festa pagana perché consideravano Gesù il sole venuto a visitarci dall’alto, per illuminare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte.
Secondo il cristianesimo infatti, il Natale è una festività che cade il 25 Dicembre e celebra la nascita di Gesù.
Cosa ci dice la storia?
Che dopo nove mesi esatti dall’annuncio dell’arcangelo Gabriele, (25 marzo, giorno dell’Annunciazione), il 25 dicembre Gesù nasce a Betlemme.
“Maria dette alla luce il figlio, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia perché per loro non c’era posto nell’albergo”.
Il racconto ci è pervenuto attraverso i vangeli secondo Luca e Matteo, che narrano l’annuncio dell’arcangelo Gabriele, la deposizione nella mangiatoia, l’adorazione dei pastori e la visita dei magi.
Senza dimenticare la grotta, la stella cometa, il bue e l’asinello che risalgono invece a tradizioni successive e a racconti presenti nei vangeli apocrifi.
Tra le scene più rappresentate in pittura la Natività è sicuramente nei primi posti della classifica.
Il raccoglimento della famiglia intorno al nuovo nato diventa in questo soggetto una celebrazione stessa della vita, fatto che fu ed è ancora molto esaltato dalla dottrina cristiana. La scena della Natività di Gesù, nella storia dell’arte, è quella più dolce e tenera, più densa di significati e simboli iconografici.
Così viene rappresentata da duemila anni la natività: una grotta, un uomo, una donna, un piccolo bambino deposto in una mangiatoia, con solo un bue e un asino a scaldarlo nella sua prima, gelida notte nel mondo.
Tanti pittori dal Medioevo al Rinascimento, dal Barocco all’arte contemporanea, si sono cimentati nel delicatissimo tema creando dei veri e propri capolavori senza tempo.
Pensiamo alla Natività di Giotto, bellissimo esempio di arte medievale, nella Cappella degli Scrovegni di Padova.
Un affresco dal paesaggio scarno e roccioso: l’armonia è data dai colori del cielo e del mantello della Madonna. L’azzurro del mantello indossato da Maria la collega al cielo, all’immensità dell’infinito e al mondo divino.
Approfondisci l’arte di Giotto leggendo anche il nostro articolo dedicato alla sua Croce di Santa Maria Novella
La Natività di Piero della Francesca, dall’influenza fiamminga, è un esempio straordinario di arte rinascimentale, dove il colore della veste di Maria emerge in modo brillante sui colori spenti del paesaggio e degli altri personaggi.
Piero della Francesca sembra donare una grande armonia alla scena, collegando attraverso i gesti tutti i personaggi presenti nell’opera. Tipici di Piero sono poi gli atteggiamenti solenni e composti, improntati ad un solido equilibrio geometrico.
Di grande pregio anche la Natività Mistica di Sandro Botticelli, datata 1501, forse l’ultimo capolavoro dell’artista.
Rispetto alle opere precedenti dell’artista, questo quadro mostra una prospettiva sconvolta, figure rigide, innaturali e sproporzionate, colori violenti e linee nervose. Il quadro rispecchia la profonda crisi religiosa e personale dell’artista, ma anche del suo tempo e della sua città, Firenze, ed è percorsa da una forte valenza simbolica e visionaria.
Il soggetto della tela è quello tradizionale, con la Sacra Famiglia al centro della rappresentazione: la grotta e l’adorazione del Bambino da parte di Maria con Giuseppe, i pastori e i Magi. Il resto della composizione è costruita in maniera eccezionalmente ritmica e armoniosa, ma sfugge all’iconografia classica: inusuale è infatti la scena dell’abbraccio tra gli angeli e gli uomini rappresentato nella parte bassa della tela, che rappresenterebbe l’avvenuta riconciliazione fra umano e divino.
Anche Caravaggio rappresentò a suo modo la Natività, offrendo alcune interpretazioni mirabili e assai discusse dai suoi contemporanei.
Pochi artisti come lui hanno saputo rendere in modo realistico e profondo l’amore materno di Maria, donna umile, stremata dal parto e abbandonata a terra, circondata da poveri pastori, in un contesto quasi di degrado, e tuttavia capace di esprimere un amore e un calore al limite della poesia.
Probabilmente dipinto nel 1620, quest’opera di Gerrit Van Honthorst, detto anche Gheraldo delle Notti, è conservata nella Galleria degli Uffizi di Firenze, insieme a un’altra natività in notturna del pittore olandese.
Se c’è un dipinto che trasmette la magia unica della notte di Natale, quello è senza dubbio l’Adorazione del bambino di Honthorst, la cui atmosfera ovattata è il frutto di un uso della luce straordinario, pacato, dalla raffinata armonia.
Il bambino appena nato è posto al centro della scena, in una mangiatoia, adagiato su un panno bianco da cui si propaga la luce che accarezza i volti di Maria, di Giuseppe e di due angeli che gli stanno intorno, in adorazione.