Ormai la Toscana e il suo capoluogo attirano l’attenzione del mondo intero non solo per le meraviglie artistiche e paesaggistiche, ma anche culinarie!
Sappiamo però quali sono le origini delle prelibatezze che possiamo gustare sui gradini di una piazza, in una tipica osteria, o in un ristorante di lusso?
Per scoprirle dobbiamo andare indietro nel tempo fino ai nostri antenati: gli etruschi e i romani.
Le notizie che abbiamo sull’alimentazione etrusca non provengono da ricettari veri e propri o da testi scritti, a venire in nostro aiuto sono i reperti archeologici. Tramite ossa animali, resti vegetali o pollini per esempio, possiamo risalire alle coltivazioni e alle abitudini alimentari del passato. A questi reperti si aggiungono anche le pitture con scene di banchetto e il vasellame che veniva usato a tavola e in cucina.
Al museo archeologico di Firenze possiamo vedere una serie di utensili così raffinati e moderni che potrebbero stare bene nelle nostre cucine! Pensate che per servire il pesce, pietanza molto diffusa, avevano dei particolari vassoi proprio con la forma di quest’animale.
Ma cosa si poteva trovare sulle loro tavole?
A prevalere era l’utilizzo dei cereali, soprattutto il farro, e dei legumi. Ad essi si accompagnavano frutta, latticini e carne ovina.
Con l’espansione nel Mediterraneo e lo sviluppo dei commerci entra nelle dispense etrusche anche la selvaggina e si diffonde un’abitudine aristocratica che diventerà caposaldo della nostra società: il banchetto. Questa arriva direttamente dalla Grecia, così come il consumo dell’olio e del vino.
Le carni che si consumano continuano ad essere soprattutto ovine e suine, insieme a volatili e pollame.
Su questa base etrusca ecco che arrivano i romani e soprattutto la romanizzazione.
Se oggi si parla tanto di globalizzazione come un fenomeno moderno, dobbiamo pensare che al tempo della potenza romana le cose non erano tanto diverse. Per questo motivo considerazioni più generali che leggiamo nelle fonti riguardanti usi e costumi romani possono essere applicate anche a Florentia, la colonia fondata nel 59 a.C.
Anche in questo caso non abbiamo delle vere e proprie ricette, ma autori come Catone, parlano spesso delle abitudini alimentari del loro popolo e lo fanno proprio per giustificare questa romanizzazione: le loro abitudini infatti costituiscono un modus vivendi che rimanda ad un’età dell’oro, modello da seguire per tutte le popolazioni.
Ecco quindi che la frugalitas romana diventa modello da imitare e alimenti base come il plus, una sorta di farinata fatta con farina di farro acqua e sale, si diffondono in tutte le colonie ed è molto probabile che questo piatto fosse consumato anche a Firenze, non a caso uno dei comandanti ghibellini fiorentini veniva chiamato Farinata degli Uberti per il colore chiaro dei suoi capelli che ricordava appunto una farinata
Con l’espandersi della potenza romana aumentano i popoli con cui vengono a contatto e i conseguenti commerci. Le navi scaricano prodotti esotici e spezie fino ad ora sconosciuti e i banchetti dei più ricchi si riempiono di leccornie.
Le pietanze diventano sempre più elaborate, le ricette si moltiplicano, abbiamo addirittura il primo libro di cucina redatto da Marco Gavio: il de re coquinaria. La tavola, sinonimo di ricchezza e benessere, diventa anche il simbolo del godersi la vita.
Ma le esagerazioni non tardano ad arrivare, le ricette si trasformano in vere e proprie follie gastronomiche e numerose sono le malattie legate all’eccesso di cibo. Orazio in una delle sue satire scrive:
Le pietanze diventano sempre più elaborate, le ricette si moltiplicano, abbiamo addirittura il primo libro di cucina redatto da Marco Gavio: il de re coquinaria. La tavola, sinonimo di ricchezza e benessere, diventa anche il simbolo del godersi la vita.
Ma le esagerazioni non tardano ad arrivare, le ricette si trasformano in vere e proprie follie gastronomiche e numerose sono le malattie legate all’eccesso di cibo. Orazio in una delle sue satire scrive:
Ecco quindi che l’eccesso inizia ad essere additato come sintomo di una società corrotta che porterà alla fine dell’impero, mentre un’alimentazione più semplice e sana mantiene integre le virtù ed evita il peccato capitale della gola.
Siamo infatti negli anni in cui si diffonde il cristianesimo, anni di crisi per la politica romana, dove si tenta di tornare a quella frugalitas iniziale esaltata dalle fonti, ma la fine è segnata e la fine dell’impero romano ci traghetta verso il medioevo.
I romani non se ne vanno senza lasciare traccia, se agli etruschi dobbiamo l’abitudine il consumo dei cereali, dell’olio, del vino e dei formaggi, ai discendenti di Romolo e Remo risale l’utilizzo delle frattaglie, molto frequenti nei banchetti imperiali, delle pappe, delle farinate e anche del vino annacquato, il vinello toscano.
Ma il retaggio più grande sarà il valore di discriminazione sociale che viene attribuito al cibo ormai simbolo di ricchezza o povertà.
Il medioevo esplicita ancora di più questo concetto definendo potens colui che mangia e pauper colui che non può reperire facilmente il cibo.
Allo stesso modo la festa sarà segnata dall’abbondanza di cibo e la penitenza invece dalla sua assenza. Queste abitudini arrivano fino a noi.
Cosa c’è infatti di meglio che mettersi a banchettare in famiglia o con gli amici con tavole imbandite di cibo e bevande?
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